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LA MEGLIO GIOVENTÙ Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 23 dicembre 2003
 
di Marco Tullio Giordana, con Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Adriana Asti, Sonia Bergamasco, Fabrizio Gifuni, Maya Sansa, Jasmine Trinca (Italia, 2003)
 
Chi l'avrebbe detto? Anche il cinema ha qualcosa da imparare dalla tivù. Saga famigliare sullo sfondo delle vicende italiane a partire dagli anni sessanta, serial televisivo (la produzione è della RAI, ma quella pre-berlusconiana…) di sei ore proposto nelle sale in due parti, LA MEGLIO GIOVENTU` non è soltanto il miglior film di un regista che ha sempre tentato, in una carriera anche sfortunata, di coniugare il sociale ed il politico con il sentimentale. Ma la dimostrazione di come ad un uso intelligente e sensibile di certe particolarità solitamente destinate al consumo più speditivo delle immagini (energia trainante del romanzo popolare, semplicità ed intimità con i personaggi, assenza di elucubrazioni autoriali) riesca di giungere al cuore ed alla riflessione dello spettatore.

Nella sua ambizione di comporre il grande affresco storico ed esistenziale (alla HEIMAT di Reitz, per intenderci) non è che tutto finisca per filare liscio nel film: c'è la sua buona parte di buonismo e di telefonate didascaliche nel desiderio di metterci tutto della vita, nascite e morti, amori e separazioni, infanzie e vecchiaie, ragioni e follie; e, come in ogni film di Giordana, passioni e sentimenti. Ma l'autore di MALEDETTI VI AMERO' possiede il dono, ereditato dalla mai troppo rimpianta commedia all'italiana, di smorzare gli angoli che più stridono nelle sue rappresentazioni: di sciogliere il tragico quotidiano nella notazione spesso umoristica, sempre affettuosa. Come in certi film di Scola o di Risi, grazie alla sceneggiatura della coppia agguerrita Stefano Rulli e Sandro Petraglia, la lunga storia di Matteo e Nicola, il fratello ombroso e torturato e quello socievole e seducente, finisce per allontanarsi dagli stereotipi tipici delle serie televisive; per costruirsi su una solidità assolutamente cinematografica.

C'è qualcosa di risaputo, di approssimativo in quell'Italia che abbiamo imparato a conoscere, dagli anni degli hippy a quelli di piombo, dall'amore libero alla disoccupazione, dai ghetti psichiatrici e Basaglia all'alluvione di Firenze, da Italia-Corea a Giovanni Falcone e alla Mafia. Ma tutto di quanto stancamente "normalizzato" si trascina l'estetica, e quindi la morale, televisiva (prevedibilità della progressione drammatica o dei dialoghi, banalizzazione della luce del montaggio, ecc.), finisce per trasformarsi, nella generosità del cinema di Giordana, in un invito alla libertà. Libertà di lasciarsi condurre per mano in una storia trascinata nel tempo, di abbandonarsi al piacere delle canzoni d'epoca, di significare i silenzi e le esitazioni, di fondersi in perfetta intimità con degli attori che interagiscono splendidamente, ai confini preziosi della naturalezza e dell'improvvisazione.


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